VISTO DA DENTRO: TESTIMONIANZA DI UN FAMILIARE

A marzo del 1990 mio padre e mia madre hanno comprato una casa: la nostra casa! Il
frutto di tanti sacrifici, che con qualche lavoretto da fare “piano piano, più avanti” sarebbe
dovuta diventare la nostra piccola reggia.
A novembre dello stesso anno però, per tutta una serie di comportamenti anomali e
dimenticanze continue, mio padre è stato ricoverato per degli accertamenti e i dottori del
reparto di Neurologia di Torrette hanno diagnosticato la Malattia di Alzheimer.
Non è facile descrivere le nostre sensazioni: io, una ragazzina di 12 anni, e mia madre,
una giovane donna con tanti sogni e speranze, siamo state catapultate in un mondo tutto
nuovo, di cui non conoscevamo assolutamente niente, del quale si parlava e si sapeva
ancora ben poco.

Com’era possibile che mio padre, un uomo di appena 52 anni fosse colpito da
invecchiamento precoce? Come poteva un uomo nel pieno della sua vita
lavorativa, sociale e familiare iniziare ad invecchiare così presto?

Le informazioni che avevamo erano scarse. Ci avevano detto che l’Alzheimer è una
malattia degenerativa, per la quale non c’è rimedio e con la quale avremmo dovuto
imparare a convivere.
Leggendo e chiedendo in giro abbiamo appreso che durante il decorso della malattia
avremmo incontrato momenti difficili, in cui mio padre avrebbe avuto episodi di rabbia,
violenza, allucinazioni, perdita della cognizione dello spazio e del tempo; che lentamente
avrebbe perso le sue capacità anche per le piccole operazioni quotidiane; che alla fine
avrebbe potuto non riconoscerci più: noi, sua moglie e sua figlia, i suoi gioielli dei quali
andava tanto fiero…

È iniziata così una nuova vita per la mia famiglia: lasciati da parte i sogni ed i
progetti abbiamo iniziato un percorso nuovo.
Anno dopo anno quei momenti difficili sono arrivati.
Sono stati eventi che hanno scatenato sentimenti diversi: smarrimento, paura, rabbia,
sconforto, solitudine, tanta solitudine.
Inoltre nessuno ci aveva mai detto che tutta la famiglia viene risucchiata nel vortice
dell’Alzheimer: chi ruota intorno al malato subisce una serie di forti stress psicologici ed
emotivi. Mentre la malattia progredisce e le cose cambiano non è solo il malato a dover
essere seguito, ma anche chi gli sta intorno, chi si prende cura di lui. È uno stress
continuo, una continua sollecitazione emotiva. Chi non conosce la malattia, chi non la vive
quotidianamente non può capire.

Le amicizie si stancano e si allontanano; i vicini hanno un po’ paura e mantengono le
distanze; i parenti hanno tutti altro da fare e, soprattutto in una storia lunga come la
nostra, va a finire che ci si ritrova da soli.
Per noi la solitudine è stata pesante: il nostro “uomo di casa” ha iniziato lentamente a
cambiare, ad avere comportamenti strani, a dover essere sempre più seguito e tutte le
decisioni, anche quelle più difficili e importanti abbiamo dovuto affrontarle da sole,
confrontandoci tra noi, una madre e una figlia.
No, non è stato affatto facile; anche perché noi siamo stati un po’ i pionieri e ancora
non si pensava a percorsi appositi anche per il sostegno delle famiglie dei malati di
Alzheimer.

 

Oggi purtroppo mio padre non c’è più: dopo 23 anni di malattia, ci ha lasciato
attraversando tutte le fasi che ci erano state anticipate. Ma questa malattia ci ha unito, ci
ha spronato a non chiuderci nel nostro mondo, ad uscire allo scoperto, a parlare di questo
problema, a volerne sapere di più, a cercare qualcuno che potesse aiutarci ad affrontare
questa strana malattia. Spesso abbiamo sbattuto contro dei muri: muri di indifferenza,
egoismo e cattiveria; ma non ci siamo arrese, abbiamo continuato a combattere.

Adesso, per fortuna, le cose stanno cambiando. Con il tempo la società e le istituzioni
hanno iniziato ad accorgersi delle difficoltà che incontrano i malati di Alzheimer e le loro
famiglie e sono nate Associazioni di Volontariato per aiutare le famiglie ad affrontare le
problematiche della malattia, vengono istituiti Punti di Ascolto per il sostegno dei caregiver
e create strutture, come Centri Diurni, che accolgono anche malati di Alzheimer.
E noi vogliamo pensare che il merito è anche un po’ nostro, perché non ci siamo arrese,
non ci siamo nascoste ed abbiamo sempre cercato qualcuno con cui condividere il nostro
problema.

Noi siamo fermamente convinte che le esperienze vadano condivise perché ci
aiutano a capire che non siamo soli.

Sara Secondini